IL mobbing è una malattia professionale: importante ed innovativa pronuncia della Suprema Corte.
È indennizzabile dall’Inail anche la malattia conseguente al mobbing. La protezione assicurativa, infatti, è estesa a ogni forma di tecnopatia di natura fisica o psichica che possa ritenersi conseguenza dell’attività svolta.
Lo ha affermato la sezione lavoro della Cassazione con l’ordinanza 8948/20 del 14 maggio che ha accolto il ricorso di un lavoratore nei confronti dell’Inail. La corte d’appello aveva respinto la sua domanda finalizzata a ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia da cui era affetto, poiché causata dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro. Il collegio d’appello, in particolare, ha ritenuto non tutelabile nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria gestita dell’Inail la malattia derivante non direttamente dalle lavorazioni elencate nell’articolo 1 del d.p.r. numero 1124/1965, bensì da situazioni di costrittività organizzativa, come il mobbing.
La controversia è così approdata in Cassazione dove il ricorrente ha sostenuto che i giudici avrebbero errato nel non riconoscere l’indennizzabilità delle malattie psicofisiche derivanti dalla costrittività organizzativa.
La Suprema corte, nell’accogliere la domanda, ha ricordato che in materia di assicurazione sociale rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il rischio specifico improprio, ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa. Con la conseguenza che non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata secondo cui sarebbe da escludere che l’assicurazione obbligatoria copra patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle.
Infatti, ha affermato la Cassazione, nell’ambito del sistema del testo unico, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica.
Pertanto, ha concluso la Corte, “ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’Inail, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia”.